Nota storica

  Nel 1934,in una situazione internazionale assai tesa  e  caratterizzata da contrasti 
 economici tra le grandi potenze per conflitti  già in  atto, e  dal  pericolo  di guerra  
 di  ben  più  vaste  proporzioni, la  Società  delle   Nazioni  applicò    nei  confronti  
 dell’Italia pesanti  sanzioni economiche, bloccando di fatto la  fornitura di   materie  
 prime, perché   quest’ultima    aveva   invaso  l’Etiopia. Nel   quadro  della  politica  
 autarchica  di  questo  periodo, e  dell’ esigenza  energetica  di  grande  proporzioni  
 non  solo per l’industria  pesante, si decise di riattivare il  bacino   carbonifero di  Bacu Abis.
 Si  trattava  di  una risorsa energetica già conosciuta nella metà del secolo scorso, ma che era 
 stata   sfruttata solo in minima
parte. L’obiettivo di riattivare il bacino, si concretizzò con 
 l’apertura di sette-  otto pozzi nel giro di un anno e mezzo, che nell’arco di dieci anni divennero 
 22, disseminati nell’intero   Medio Sulcis.

Il primo dei problemi che si  presentò davanti alla classe  politica fu  quello dell’alloggiamento  di   migliaia    di minatori. Di qui la necessità di creare un nuovo centro urbano che potesse in qualche modo accogliere le migliaia di   improvvisati   minatori   via   via approdati nel Sulcis.
La città venne chiamata
Carbonia (terra di carbone). 
Il   suo  atto   costitutivo, con  regio decreto, porta il numero 2189 del 5 novembre 1937 che venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n° 5 dell’8 gennaio 1938.

Ancora largamente incompleta, la città venne inaugurata con grande mobilitazione di gente e di mezzi, il 18 dicembre 1938 alla presenza del capo del Governo Benito Mussolini.

Le prime strutture furono: la chiesa di San Ponziano con il campanile (su modello  della chiesa di Aquileia -Ud- ), il Municipio, la Torre Civica detta Littoria, il cine-teatro adibito anche a  O.N.D. (Opera Nazionale Dopolavoro) e  alcuni  spacci  popolari  sparsi  sul  confine  cittadino. Queste  opere  ricalcavano modelli architettonici romano-imperiali (es.  i  portici, la vastità  degli  archi  all’ingresso  delle abitazioni  e  delle strutture   pubbliche ecc.), come  pure ampiezza  delle strade, tutto  a   simboleggiare  l’ideologia   della grandezza e potenza tipica del regime.

Le prime abitazioni sono sorte intorno alla Villa Sulcis, per accogliere  le  personalità più  in  vista; villini a due piani con vasto giardino destinati ai dirigenti, agli  architetti  e  ingegneri. Per  i  primi operai  sorsero alberghi capaci di accogliere mediamente 12 lavoratori  per vano. Data l’estrazione socio-economica degli operai richiamati, e la povertà sostanziale dei mezzi  finanziari del regime, la nascita delle prime abitazioni popolari avvenne solo dopo l’inaugurazione della città e lo scoppio della seconda guerra mondiale.

Il  Comune di   Carbonia  poteva  contare  già  nel  1940  circa 5.000 alloggi popolari e un ospedale con 150 posti letto. Urbanisticamente le vie di Carbonia convergevano verso le miniere in periferia. Quasi tutti i minatori ed operai godevano dell’abitazione pressoché gratuita e ciò costituiva un onere molto rilevante per l’A.CA.I., Azienda Carboni Italiana.

Per coniugi  e  capi  famiglia  la  spesa  d’affitto  dell’abitazione  incideva  per tre quarti  sul bilancio della Società. Era un trattamento complessivo superiore a quello fissato  dai  prezzi  sindacali. Ogni abitazione era dotata di un buon impianto sanitario e l’ampiezza totale della casa si aggirava intorno ai 60 mq.

Intorno  agli  anni ‘50  Carbonia  conosce una  crisi economica dovuta  alla chiusura delle miniere, allo scioglimento dell'A.C.A.I. Diminuisce di quasi 12.000  unità il numero di   abitanti   e   inizia   l’emigrazione    da Carbonia verso  l’interno  della  Sardegna prima, e   verso   il  triangolo   industriale Milano - Torino - Genova  poi. 
Di conseguenza molti alloggi  rimasti vuoti vengono  restituiti   allo I.A.C.P. ( Istituto Autonomo  Case  Popolari ), oppure subiscono   l’alienazione  o   l’occupazione abusiva.

Mentre Carbonia ed il resto del Sulcis andavano spopolandosi e la Società Mineraria  Carbonifera Sarda si trovava alla deriva, mutava sensibilmente  la  suddivisione  del  reddito: la  crisi  della  Società  mineraria colpiva direttamente gli operai  e  gli impiegati (circa 10.000 nel periodo d’oro)  riducendone  il  numero di circa  4.000  unità  e  conseguentemente lasciando  nel  bisogno  circa  15.000  persone  e  creando  un sotto-consumo  per  commercianti, artigiani, esercizi  e  trasportatori. La  crisi  monoeconomica  lasciava sull’orlo del fallimento anche le ferrovie locali. Considerato che il numero delle maestranze  doveva ridursi, veniva adottata una soluzione diversa dal licenziamento: una superliquidazione (£ 450.000) più il normale premio di buonuscita per chi si fosse dimesso volontariamente.

 Il primo tangibile segno della ripresa del Sulcis si ebbe nel 1959 allorché il  Ministero  delle  Partecipazioni Statali  approvò  il  progetto  per  la  costruzione  di  una  supercentrale  termoelettrica  da  realizzarsi a Portovesme, quasi  a  fianco  della  vecchia  e  prima  centrale sorta per bruciare il carbone delle miniere sulcitane. Nel 1962, con la  nazionalizzazione  di  ogni  azienda  produttrice di energia  elettrica, le poche migliaia   di   minatori, ancora   rimasti  abbarbicati  alle  miniere, vedevano  come   salvezza   il   proprio trasferimento all’Ente elettrico di Stato.

Nella metà degli anni ‘50 un altro grave problema era costituito dalla esigenza di garantire i servizi: se nel ‘38 i fabbricati  di  Carbonia ospitavano  circa  6.000 cittadini, gli  stessi fabbricati  nel ‘52 ne ospitavano almeno 40.000. Quindi al Comune di Carbonia veniva trasferita la  libera  proprietà  delle  aree  inedificate contenute nel perimetro del piano regolatore, dove avrebbe avuto inizio l’esecuzione di lavori di interesse pubblico ( scuole, rete viaria, fognature, distribuzione idrica, illuminazione pubblica).

La presenza della nuova  industria  di  Portovesme  aveva sortito  i  primi  effetti  positivi  col  rientro  in Carbonia  e  nel  Sulcis  di  famiglie emigrate, e con l’incremento di nuove e giovani famiglie. La punta più alta di abitanti raggiunta dal Comune di Carbonia è del 1950 con 47.858; la punta più bassa nel 1971 con 30.769. Tuttavia  la  lotta per la  sopravvivenza  delle  miniere  carbonifere del Sulcis, in un territorio con poche  alternative  alla  monicoltura  estrattiva , venne  portata  avanti  negli anni ‘70 e ‘80, salendo agli onori della cronaca ancora ai giorni nostri.

Parallelamente all’estremo tentativo di salvare le miniere e di spingere  l’ENEL  a portare avanti il discorso carbonifero, hanno avuto  un  sensibile  sviluppo  il  settore  impiegatizio, terziario  e  di  piccola  impresa sempre comunque legati agli alti e bassi del settore produttivo primario.
Si  ingrandiscono  o  sorgono  nuovi  quartieri in periferia, alcuni sulla traccia di vecchi abitati o "medaus" come Is Meis, Is Gannaus e Sirai, altri in zone residenziali o semi residenziali come il noto quartiere di via Fertilia o il rione Santa Caterina.
Negli anni 1968-69 sorsero nella zona di Portovesme alcune industrie per la lavorazione dell'alluminio che assorbirono un consistente numero di maestranze provenienti soprattutto da Carbonia.
L'attività estrattiva ha profondamente segnato l'economia e la cultura di questo territorio e in tale contesto si inserisce ancora oggi un forte dibattito che vede coinvolte tutte le popolazioni della zona, in relazione alla riattivazione e/o riconversione delle miniere di carbone.

Il settore industriale è attualmente in forte crisi in quanto la Portovesme Srl è in fase di cessazione dell'attività. Tale situazione aggrava lo stato di disoccupazione del nostro territorio.
Il territorio è fortemente degradato e l'area che comprende Portovesme, Portoscuso, Gonnesa, Carbonia, San Giovanni Suergiu, Sant'Antioco, è stata individuata dal Governo come zona ad alto rischio ambientale.
In questi ultimi anni il terziario ha avuto nei principali centri del Sulcis uno sviluppo notevole, mentre l'attività agricola si è sviluppata maggiormente nel basso Sulcis (Santadi, Giba, Masainas, etc.). Proprio da questa realtà proviene il maggior numero degli alunni, per cui il pendolarismo è tra gli aspetti caratterizzanti l'utenza dell'Istituto, con percentuali superiori al 49%.

Negli ultimi vent’anni buon sviluppo ha avuto il settore storico-culturale con ad esempio la valorizzazione del sito archeologico fenicio-punico 
di Monte Sirai

    Alcune immagini del sito archeologico di Monte Sirai

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Alcuni monumenti tra i più significativi della nostra città
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