“L’ultimo del Paradiso”
di Benigni
Colgo l’occasione dello spettacolo di
Roberto Benigni, L’ultimo del Paradiso, dato in TV il giorno 23
dicembre 2002, per una riflessione sul numero degli angeli e sull’infinito
matematico cui Dante fa riferimento. Benigni, che ha commentato con passione
travolgente il canto XXVIII del Paradiso della Divina Commedia, cita i versi
92/93 nei quali il sommo poeta dà un’idea del numero degli angeli: “...
eran tante, che ‘l numero loro più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla...
“. Cioè erano migliaia più che la serie progressiva dei doppi nel gioco
degli scacchi: 1, 2, 4, 8, e così via fino alla sessantaquattresima casella.
In alternativa, avrebbe potuto
fare un riferimento alle stelle dell’universo che, effettivamente, sono già
tante (immaginate, almeno, il numero costituito dalla cifra uno seguita da
ottanta zeri!) e, al limite, avrebbe potuto farle tendere all’infinito. Non
credo che avrebbe avuto problemi per metterle in rima. Invece, prende in
considerazione la successione dei chicchi di grano sulla scacchiera: 1, 2, 4, 8,
e così via, come la famosa storiella raccontataci molto bene dallo stesso
Benigni. Sembra che un esempio valga l’altro. Non è così. I due infiniti non
sono uguali e le infinite caselle sono meno degli infiniti chicchi di grano: le
caselle sono
numerabili
ma i chicchi di grano non sono numerabili!
Tanto per intenderci faccio
l’esempio del treno, suggeritomi dal grande filosofo Russel.
Alla stazione arrivano due treni
lunghissimi:
-
il primo costituito da una infinità numerabile di vagoni (le
caselle della scacchiera infinita);
-
il secondo costituito da una infinità non numerabile di vagoni
(i chicchi di grano sulla scacchiera infinita, nella successione 1, 2, 4, 8,
...),
il primo treno si fermerà, il
secondo non si fermerà mai. Il primo treno, seppure costituito da infiniti
vagoni, si fermerà perché l’infinità dei vagoni si può contare, in altre
parole è numerabile.
Contare, o numerare, significa riuscire a mettere in
corrispondenza i vagoni con i numeri interi: il primo vagone con il numero 1, il
secondo vagone con il numero 2 e così via. La corrispondenza è possibile con
il primo treno ma, si dimostra, che è vano ogni tentativo di mettere in
corrispondenza i vagoni del secondo treno. Il secondo treno è costituito da
un’infinità di vagoni, come si suole dire, più potente. Capisco la
perplessità del lettore. Qui si sta affermando che gli infiniti non sono tutti
uguali mentre è una cosa ovvia essere convinti del contrario: sono infiniti e
basta! Purtroppo non è così.
Per riuscire a capire Dante quando conta gli angeli del Paradiso,
farò un breve e sommario excursus sull’infinito matematico, citando le tappe
essenziali, in modo anche molto superficiale, di un intervallo di duemila e
cinquecento anni. Prima di cominciare dobbiamo però avere una prima idea
d’infinito. Cominciamo con il distinguere l’infinito potenziale
dall’infinito attuale.
Infinito potenziale
Per capirlo è sufficiente contare senza fermarsi. Giungeremo in
breve tempo a numeri molto grandi. Non c’è problema, aggiungiamo sempre uno
all’ultimo numero, senza stancarci mai: questo è l’infinito potenziale.
Infinito attuale
Per capirlo dobbiamo fare un piccolo salto concettuale e,
lavorando di fantasia, dobbiamo ipotizzare di arrivare alla fine della conta,
anche se sappiamo che è impossibile. Dobbiamo riuscire a pensare non un
numero grande, bensì il più grande: l’Infinito. Questo è l’infinito
attuale. Attenzione, con questo ragionamento abbiamo trovato il più piccolo
degli infiniti attuali nonchè l’unico infinito attuale numerabile. Sul
numerabile, credo non ci siano problemi: l’abbiamo numerato fino alla fine.
Sul fatto che sia il più piccolo, ... lo vedremo più avanti, è più difficile
da immaginarsi ma, non disperate, con un po’ di pazienza, avremo alla fine un
quadro completo sull’Infinito matematico.
Adesso possiamo tracciare le tappe essenziali.
Zenone – V secolo a.C.
Storicamente parlando è il primo che, utilizzando l’infinito
attuale, quello testè citato, ha dimostrato l’inesistenza del movimento: in
questa faccia di terra siamo tutti illusi di poterci muovere. Invece non
possiamo raggiungere niente e nessuno, siamo condannati all’immobilismo
totale! Questo è il paradosso al quale è giunto Zenone con il famoso esempio
di Achille e la tartaruga. Per seguire e capire il ragionamento logico di
Zenone, utilizzerò un altro esempio di mia invenzione e da me chiamato “Achille
e il parcheggio a pagamento”. Ha la stessa struttura logica e poi è dei
nostri giorni.
Achille va in macchina in Piazza Mercato per fare spesa portando
con se la tartaruga. Dopo l’operazione di parcheggio, sta per allontanarsi ma,
ovviamente, si trova di fronte l’addetto ai parcheggi già pronto per
incassare il dovuto.
- “Sono sessanta centesimi d’euro per un’ora”,
ricorda l’addetto.
Achille, non si smentisce, e con tono sicuro risponde:
-
“Il
pagamento è impossibile!”.
L’addetto resta dapprima disorientato. Non si aspettava una
risposta del genere. Ma, dopo un po’, gli intima, con tono perentorio, il
pagamento dei sessanta centesimi.
Achille però non vuole pagare e, con aria di sufficienza, si
rivolge nuovamente all’addetto con questo ragionamento logico:
- “Penso
sia d’accordo con me sul fatto che prima di pagare sessanta centesimi fra
un’ora, devo pagare la metà fra mezzora, un quarto nel successivo quarto
d’ora, un ottavo nel successivo ottavo d’ora e così via, fino alla scadenza
del parcheggio, tra un’ora.”
L’addetto,
seguendo attentamente il ragionamento di Achille per coglierlo in fallo, ascolta
senza rispondere. È convinto di potere incassare i sessanta centesimi d’euro.
A suo giudizio non può esistere ragionamento logico in grado di cancellare un
debito (o un credito).
-
“C’è
un però”, continua Achille.
-
“E
sarebbe?”, domandò l’addetto.
-
“Il
numero delle frazioni di pagamento sono infinite e lei non è in grado di fare
un’addizione con infiniti addenti!”
L’addetto, spiazzato, non sa cosa rispondere. Il ragionamento
fila e ... anche lui se la fila pensando: “Speriamo di non trovare più altri
clienti come Achille, altrimenti verrò licenziato”.
Questo è il famoso paradosso di Zenone così subdolo che in
proposito Russel disse nei Principia
a pag. 528: “... Malgrado (Zenone) abbia inventato quattro argomentazioni
tutte smisuratamente sottili e profonde, la stupidità dei filosofi a lui
successivi, proclamò che Zenone non era altro che un ingegnoso giocoliere e le
sue argomentazioni erano tutte sofismi....”.
L’obiettivo di Zenone era di dimostrare che Achille non avrebbe
raggiunto la tartaruga. Il mio obiettivo, del tutto simile al precedente, è di
dimostrare che il debito non potrà essere saldato. In sintesi: l’ Achille di
Zenone corre, il mio paga e nessuno riesce a concludere l’azione. Il motivo
del paradosso è l’uso che si è fatto nel ragionamento del più piccolo tra
gli infiniti attuali: l’infinito numerabile.
Dobbiamo arrivare fino a Galilei per avere un piccolo contributo
alla comprensione dell’infinito e per capire come mai esso non sia un numero.
Galilei – XVII secolo
Galilei (1564 – 1642), universalmente conosciuto come il padre
della scienza moderna, nel 1638 pubblica l’opera Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienze. In essa dedica molto spazio alla
comprensione dell’infinito. Compie un solo passo avanti: scoprire che
l’infinito non è un numero.
Il ragionamento da lui fatto è del tutto simile al seguente:
-
i numeri pari sono
infiniti, così pure i dispari, e, se aggiungo ai pari i dispari, la somma è
sempre infinito e non due volte infinito.
Oppure:
- se
ai pari aggiungo il numero dispari tre, il numero totale dei numeri (cardinalità
o potenza) è sempre infinito e non infinito più uno, in aperta contraddizione
con le operazioni usuali con numeri finiti.
In conclusione, per gli infiniti non valgono le operazioni
solitamente utilizzate per i numeri finiti. Vanno, quindi, trattati diversamente
ma Galilei non dice come. Sconsolato, fa dire a Salviati – personaggio
dell’opera, strutturata come un dialogo – “quelle sono di quelle
difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto
finito intorno agli infiniti ... “.
Galilei è molto lontano dalla soluzione di Zenone perché in un’altra parte
dell’opera fa dire a Sagredo (altro personaggio) che non si possono stabilire
diseguaglianze fra due infiniti e non si può nemmeno affermare che un numero
infinito è maggiore di uno finito.
Per dare una risposta al paradosso, vecchio oramai di duemila e
duecento anni, c’è voluto il lampo di genio di due grandi del pensiero umano:
Newton e Leibniz.
Newton e Leibniz – XVII secolo
Vissero nel secolo d’oro in cui nacque la scienza moderna.
Newton e Leibniz, due uomini, due geni, allo stesso tempo e in maniera
indipendente trovarono la soluzione al paradosso di Zenone. La chiave di volta,
indispensabile per sommare infiniti addendi, è stato il concetto di limite e
tutta l’analisi matematica che gli ruota intorno. In altre parole scoprirono
il Calcolo Infinitesimale, lo strumento matematico più potente per
l’interpretazione della realtà ed il progresso della conoscenza. Essi
dimostrarono per la prima volta che Achille avrebbe raggiunto la tartaruga e
avrebbe dovuto pagare, con grande disappunto, anche il parcheggio.
Newton (1642 – 1727) nacque proprio nell’anno in cui morì
Galilei. Cominciò ad usare il calcolo infinitesimale fin dal 1666 e, tuttavia,
essendo sempre riluttante a rendere pubbliche le sue opere, pubblicò in ritardo
la grande scoperta nell’opera monumentale “Principia”, venendo così
anticipato da Leibniz.
.
Leibniz (1646 – 1716) fu una delle menti più poderose di tutti
i tempi, caratterizzata anche dall’universalità dei suoi interessi.
S’interessò per tutta la vita di logica matematica e di piccole differenze
che lo portarono alla scoperta del Calcolo Infinitesimale.
A questo punto siamo arrivati alla conclusione del paradosso.
Abbiamo lo strumento logico-matematico per sommare una successione infinita e
numerabile (il più piccolo infinito attuale) di addendi. Siamo, tuttavia,
ancora in alto mare per contare le stelle del Paradiso dantesco e capire,
quindi, l’esistenza di infiniti più grandi (potenti) di altri infiniti. Entra
in gioco, finalmente, il grande Cantor.
Cantor – XIX secolo
Cantor (1845 – 1918), indagando l’Infinito, nel 1878 dimostrò,
utilizzando la famosa diagonalizzazione, che ci sono infiniti attuali più
potenti (più numerosi) di altri infiniti attuali. Contò tutti gli infiniti
attuali etichettandoli con la prima lettera dell’alfabeto ebraico, aleph,
seguita da zero, uno, due, eccetera. A questi diede il nome di numeri
transfiniti.
Aleph-zero
È il più piccolo
infinito attuale, il più piccolo numero transfinito, il numerabile. Con
aleph-zero possiamo contare le infinite caselle della scacchiera di Dante
e così pure i vagoni del primo treno che arriva alla stazione, nell’esempio
sopraccitato. In matematica possiamo contare tutti i numeri frazionari, i numeri
interi, i pari, i dispari, i primi e via discorrendo.
Aleph-uno
È immediatamente successivo ad aleph-zero, del quale è più
grande. Con questo transfinito cominciano i non numerabili. Possiamo affermare
con certezza che la sequenza dei chicchi di grano sulla scacchiera: 1. 2, 4, 8,
..., tende al numero transfinito aleph-uno. Ma anche i punti di un segmento, di
una retta, di un piano o dello spazio sono aleph-uno, così pure i numeri reali.
Gli aleph continuano senza sosta: aleph-due, aleph-tre .... Il più
grande degli aleph va sotto il nome di Assoluto, non accessibile nè
determinabile matematicamente. I credenti identificano Dio nell’Assoluto, per
gli altri è solo il più grande infinito. Contrariamente a quanto si è pensato
per secoli e secoli, l’Infinito non porta alcuna contraddizione logica. Esso
quindi esiste, in senso rigorosamente logico-matematico, e fa parte integrante
della nostra esistenza.
Riepilogando, Cantor ha dimostrato la seguente dinastia degli
aleph: aleph-zero, aleph-uno, aleph-due, ..., con una fine nell’Assoluto.
Contrariamente a quanto si possa pensare, la scoperta non gli giovò più di
tanto. Alcuni grandi personaggi furono entusiasti, come Hilbert che disse:
“Dal Paradiso creato per noi da Cantor nessuno ci porterà fuori”. Anche
Russel lodò il risultato di Cantor come “probabilmente il più grande di cui
quell’epoca poteva vantarsi”. Lo scrittore argentino Jorge Luis Borges parlò
di “terribili dinastie” quando si riferiva agli aleph (infiniti) di Cantor.
Purtroppo per Cantor le opinioni non furono tutte concordi e un personaggio del
calibro di Henri Poincarè (forse il più grande matematico di tutti i tempi
dopo Gauss) disse che il Cantorismo era una malattia da cui i
matematici sarebbero dovuti guarire. Si aggiunse al coro dei denigratori anche
Hermann Weyl che parlò della gerarchia degli aleph di Cantor come “nebbia
nella nebbia”. Il massimo giudizio negativo, contro la geniale scoperta di
Cantor, purtroppo venne da un suo insegnante, eminente matematico e filosofo
dell’epoca: Kronecker. Quando il suo allievo fece la grande scoperta, fu
letteralmente disgustato. Lo criticò aspramente e gli rese la vita di matematico molto dura creandogli
problemi nella pubblicazione e, più tardi,
mettendo lo zampino per fargli ottenere una cattedra poco prestigiosa, di
serie B. Per questa scoperta di Cantor, Kronecker fece la famosa affermazione:
“Dio creò i numeri naturali, tutto il resto è opera dell’uomo”. Cantor,
con la brutale critica del suo maestro, ricevette la ferita più seria.
Sconsolato, umiliato e amareggiato ebbe nel 1884 il primo di una lunga serie di
esaurimenti nervosi che si ripeterono con costante ricorrenza per i rimanenti
trenta anni della sua vita. Morì nel manicomio di Halle nel 1918.
Oggi la conoscenza dell’Infinito è andata ancora avanti nel
solco tracciato da Cantor con due ulteriori scoperte non meno sensazionali: Gödel
nel 1931 e Cohen nel 1963.
Questa è la breve, e anche tragica storia, dell’Infinito lunga
duemila e cinquecento anni e mai conclusa.
Ritorniamo finalmente a Dante e alla conta degli angeli:
l’argomento principale di questo riflessione.
Se Dante avesse contato gli angeli con una scacchiera molto
grande, al massimo sarebbe arrivato all’infinito potenziale e, ipotizzando una
scacchiera infinita, ad aleph-zero. In sintesi, parafrasando, avrebbe raggiunto
la tartaruga, pagato il parcheggio e fatto fermare completamente il primo treno
alla stazione.
In questo modo avremmo concluso che gli angeli del Paradiso sono
presenti in numero infinito numerabile aleph-zero.
Invece, per motivi sconosciuti, e senza le scoperte di Cantor
(1878), fa l’esempio dei chicchi di grano sulla scacchiera nella successione:
1, 2. 4, 8, .... , che rapidamente diventano molto numerosi e conducono ad
aleph-uno, più grande di alepf-zero e, quindi, non numerabile. Ricordiamo che
con il numero transfinito aleph-uno si indicano anche i numeri reali,
i punti dell’universo e i vagoni del secondo treno, già citato, che
non si fermerà mai completamente in stazione.
In questo modo concludiamo asserendo che gli angeli del Paradiso
sono presenti in numero infinito non numerabile aleph-uno.
C’è da restare stupefatti. Sappiamo tutti che Dante era uomo
di grande cultura e la sua proposta di contare il numero degli angeli con il
transfinito aleph-uno, non numerabile, dimostrato più di seicento anni dopo, ci
lascia senza parole.
L’abbia fatto ispirato o per caso, vorrei definire Dante il
poeta intuizionista transfinista.
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